Nautica da diporto: la crisi c'è ma la barca non affonda
Se la crisi è un ciclone, la barca del diportismo nautico non affonda. Malgrado la recessione e le difficoltà per il piccolo cabotaggio, il settore prova a restare a galla. E continua a pesare, sul Pil italiano, per oltre 5 miliardi di euro. inchiesta Nautica da diporto: la crisi c’è ma la barca non affonda Se la crisi è un ciclone, la barca del diportismo nautico non affonda. Malgrado la recessione e le difficoltà per il piccolo cabotaggio, il settore prova a restare a galla. E continua a pesare, sul Pil italiano, per oltre 5 miliardi di euro. Lo scenario Il settore nautico italiano e mondiale non poteva non risentire della crisi dopo una cavalcata durata circa un decennio. Malgrado ciò, le prospettive di medio e lungo termine sono tutt'altro che sconfortanti. E' ovvio che le previsioni di inizio 2008 sono state radicalmente riviste (la società Bain & Co. delineava un boom del fatturato mondiale da 16,1 miliardi nel 2010 contro i 12 miliardi del 2007), ma non mancano i mezzi per tenere la rotta che porterà il comparto fuori dalla bufera con poche ammaccature. Certo, pesano il crollo dei consumi negli Stati Uniti e le difficoltà dei magnati russi. Inoltre il contraccolpo recessivo ha mandato in affanno soprattutto la piccola nautica, che in Italia era stata sostenuta per anni in modo artificiale dal leasing. Per di più, adesso qualche ombra si addensa persino sui grandi yacht. Tuttavia a preoccupare è nondimeno l'esposizione degli operatori di settore nei confronti delle banche, visto che i "mezzi propri" rappresentano solo il 10-15% delle fonti di finanziamento delle imprese. In ogni caso, le barche per nababbi non passano mai di moda: in Italia, nel 2007, il mercato del lusso galleggiante era cresciuto del 23% rispetto all'anno prima e a livello planetario esso rappresenta oltre la metà della produzione. Il settore soffre ma resta a galla In un momento in cui i parametri economici di ogni settore fanno registrare tonfi pesanti, un 2008 di sostanziale tenuta rappresenta un discreto segnale per il comparto nautico. E' questo, infatti, il responso che ci si attende (salvo sorprese) per il mercato delle imbarcazioni medie e piccole, ossia quelle destinate in prevalenza alla clientela italiana. L'anno appena concluso potrebbe far segnare un fatturato invariato dopo una crescita del 5% nel 2007. I dati degli ultimi 12 mesi non sono ancora ufficiali, tuttavia il mercato dovrebbe restare a galla. E' vero che indicazioni non buone arrivano dal sotto-mercato dei gommoni, tradizionalmente prediletti da chi tenta un primo approccio con la nautica: il calo del fatturato è stato del 6% nel 2007 e nel 2008 c’è stato un ulteriore decremento del 7-8%. Un po' meglio, però, va il ramo della vela e del windsurf, con un +2,8% tra 2006 e 2007 e forse una crescita del 3% nel 2008. Guardando indietro, si nota comunque che dal 2005, in Italia, il trend di incremento si era stabilizzato tra il 13 e il 14% sia in termini di valore sia per quanto riguarda le unità, con un mercato nettamente più dinamico rispetto a quello europeo. Una frenata, dunque, era quasi fisiologica. Una ricchezza per il paese D'altronde la nautica è per tradizione uno dei fiori all'occhiello del made in Italy. Settore considerato fino a pochi anni fa affare per pochi privilegiati, ormai si è aperto a spazi di consumo e di clientela sempre più ampi. La sfida in tempi di crisi, però, è quella di far ripartire il piccolo diporto, il più colpito dal crollo della domanda. Il fatturato complessivo del comparto (mettendo insieme cantieristica, accessori, motori, riparazioni, manutenzioni, rimessaggio) nel 2007 era pari a 6,2miliardi di euro, di cui quasi 5miliardi (l'80,3%) derivante da produzione nostrana. In seno a quest'ultima solo il 52,4% è rimasto nel mercato italiano, il resto è andato oltreconfine. Il contributo nazionale del settore al pil risultava invece nel 2007 pari a 5,2miliardi di euro. Il valore della cantieristica Nello specifico, la cantieristica aveva nel 2007 un fatturato complessivo di 3,8miliardi, di cui l'87% (3,3miliardi) derivato da produzione nazionale. Questo è un dato sostanzialmente confermato per il 2008 dall'Osservatorio Nautica e Finanza 2009. Giusto per fare un raffronto, nel 2005 i valori erano appena di 2,8 miliardi (import compreso) e di 2,5 miliardi a livello di produzione nostrana. Nell'ambito di quest'ultima, il 56% è finito all'estero (1,9 miliardi di euro) e il 44% è rimasto in Italia (1,45 miliardi). I Paesi Ue sono stati i destinatari dei nostri prodotti per 963 milioni di euro, mentre 901 milioni sono andati fuori dall'Unione europea. Piccola nautica, grande mercato L'86,7% del fatturato globale della produzione cantieristica italiana derivava, nel 2007, dalle imbarcazioni entrobordo, entrofuoribordo e idrogetto. Insomma, è il diporto a motore di piccole dimensioni a fare la parte del leone. Questo genere di imbarcazioni hanno fatturato 2,9 miliardi e come al solito la produzione è finita soprattutto all'estero (1,7 miliardi). Staccata c'era poi la vela con un 6,3%. Per quanto concerne proprio la vela, la produzione nazionale valeva nel 2007 177 milioni di euro (+2,8% rispetto al 2006), con oltre 107milioni destinati oltreconfine. Il fatturato globale di 238 milioni, però, era calato rispetto ai 256 milioni del 2006. Una dinamica che si spiega con il crollo delle importazioni (-27,5%), da cui è derivato un boom del saldo della bilancia commerciale (+130,1%). Gli accessori, emblema del Made in Italy Infine c'è il ramo della nautica che forse meglio degli altri esprime quel mix di design e tecnologia tipico della creatività manifatturiera italiana: si tratta degli accessori. Dalla meccanica navale all'abbigliamento, dai complementi di arredo alle velerie, l'italian lifestyle si esprime ai massimi livelli anche sull'acqua. E scaturisce dall'impegno di una miriade di piccole e medie imprese che la committenza di tutto il mondo apprezza per la qualità della produzione. Il fatturato complessivo dell'intero settore accessori si avvicinava, nel 2007, a 1,5 miliardi, di cui oltre 1,1 miliardi derivanti dalla produzione nazionale. inchiesta L'intervista "L’industria nautica è stata travolta dalla crisi mondiale quasi a ciel sereno, cioè nel pieno di una fase di sviluppo e trasformazione". Lo afferma Anton Francesco Albertoni, presidente Ucina (Unione nazionale cantieri e industrie nautiche) che aggiunge: "Gli ultimi cinque mesi, se raffrontati allo stesso periodo dell’anno scorso, ci danno un calo del fatturato complessivo del comparto del 21 per cento, di cui il 6 per cento sui mercati internazionali e ben il 15 per cento sul mercato interno italiano". Quali sono le azioni necessarie per sostenere lo sviluppo della nautica da diporto italiana? Innanzitutto serve una modifica immediata delle legge 84/94 sulla portualità che preveda un modo facile e veloce per creare posti barca senza cementificare le nostre coste e senza costruire mostri. Ben venga poi, anche il rilancio di Italia Navigando, ma solo se tornerà ad essere uno strumento al servizio del mercato e non un competitor pubblico. E poi? Bisogna sbloccare il sistema del leasing nautico italiano che, voglio ricordarlo, ha riportato in Italia 600 milioni di euro di Iva. Noi produciamo il 51 per cento delle navi da diporto, ma ne registriamo sotto bandiera italiana solo l’1 per cento. Inoltre è necessaria una normativa che consenta di prendere la piccola barca come una macchina. Servono poi una serie di interventi mirati che consentano di fare chiarezza sulla fiscalità applicata alla nautica. E ciò per far decollare il mercato interno. La crisi c’è anche nella nautica. Quali sono i segnali che arrivano dal vostro mondo? Faccio una premessa: il settore è cresciuto negli ultimi dieci anni con percentuali superiori al 10 per cento. Nessuno quindi si aspettava una battuta d’arresto simile. Quasi tutte le aziende sono state costrette a ritirare gli obiettivi per il 2009-2010 e molte si sono ridimensionate. Si intravedono segnali di ripresa negli ultimi mesi? Tra aprile e maggio c’è stato un piccolo risveglio. Ma c’è un fatto nuovo: il cliente si sta riavvicinando alla nautica e alle dimensioni medie. C’è un ridimensionamento nel primo approccio al mondo barca. Ma è un segnale positivo che le nostre industrie stanno recependo a pieno. La nautica è un simbolo del made in Italy. Quanto vale il marchio italiano in piena crisi? Tantissimo. Mi faccia ricordare che noi non progettiamo in Italia per costruire in altri paesi, come fanno altri settori. Se la nautica italiana è passata da 10mila a 37mila addetti questo significa che a una crescita del fatturato abbiamo fatto coincidere una crescita di occupati. Il marchio italiano oggi ha un peso importantissimo. Nel momento in cui c’è meno mercato, l’utente fa maggiore selezione e premia quei marchi che possono dargli una prospettiva nel tempo di una maggiore valorizzazione dell’usato. Porti turistici insufficienti. Quali sono le proposte di Ucina per rilanciare il settore? Concettualmente sono due le cose da cambiare. Una è una questione di mentalità: oggi la realizzazione di porti turistici dipende ancora da Regioni e Comuni. La piccola nautica quasi mai ha bisogno del porto classico per ricovero e ormeggio. Le barche fino a 12 metri, se si assumesse una cultura diversa, potrebbero essere ospitate in spazi a terra. Realizzare un porto a mare ha necessità di costi importanti. Per poter dare, invece, uno spazio alla piccola nautica sarebbe importantissimo realizzare porti a secco. Guardiamo il caso Liguria: abbiamo campi da calcio e da bocce “vista mare” e non abbiamo porticcioli. Con una scaffalatura a zero impatto ambientale si potrebbero recuperare centinaia di posti barca liberando spazi in acqua. E il secondo suggerimento? Abbiamo uno strumento straordinario e sottoutilizzato: anni fa era stata fondata una società che faceva capo a Sviluppo Italia, “Italia Navigando”. Una società pubblica nata con un obiettivo largamente condiviso: realizzare porti barca per poi cederli a privati in zone dove la nautica non era sviluppata. Tutto ciò non è mai successo. Lo scorso anno abbiamo pubblicato uno studio per il recupero della portualità mercantile: in Italia abbiamo 240 porti sottoutilizzati, nei quali basterebbe allestire pontili galleggianti per recuperare 39mila posti barca con investimenti bassissimi. Questo dovrebbe essere l’obiettivo primario da dare a “Italia Navigando”. Ucina ha proposto anche alcune modifiche alla legge 84/94. Sappiamo che quella legge sarà a breve modificata. Per questo abbiamo chiesto l’inserimento di norme ad hoc riguardanti i piani regolatori portuali, sull’esempio del recupero, davvero splendido, del porto antico di Genova. Un miglioramento della normativa risanerebbe intere zone e darebbe migliaia di posti di lavoro. Un’altra questione aperta riguarda le aree marine protette. Quali risultati avete ottenuto? Abbiamo chiesto che all’interno della legge quadro sulle aree marine protette venisse stralciata la tematica diportistica. Il motivo è semplice: quella legge parla anche della regolamentazione dei parchi terrestri. Al governo abbiamo detto: abbiamo uno strumento straordinario, usiamolo. Mi riferisco al protocollo di intesa sottoscritto da noi, dalle aree marine e da tutte le associazioni ambientaliste dal 2007. Rendiamolo operativo. Oggi viviamo una situazione assurda: delle 26 aree, solo quattro o cinque hanno recepito il protocollo. inchiesta Il manifesto Ainud-Federnautica (aderente a Confcommercio) sulla nautica da diporto e commerciale Le imprese turistiche nautiche, pur se recentemente regolate dal Codice del Diporto, devono essere inquadrate all’interno di un comparto a forte caratterizzazione turistica, che finalmente rifletta la vera natura del settore, facendo da ombrello a tutte quelle attività organizzate professionalmente per offrire vacanze e servizi turistici nautici al pubblico, dalla portualità turistica fino alla locazione e noleggio di unità da diporto ed alla intermediazione di mezzi nautici e di pacchetti turistici nautici. Lo afferma l’Ainud-Federnautica, l’associazione nazionale delle imprese di noleggio di unità da diporto aderente a Confcommercio, che ha stilato le linee guida per la legislazione nell’ambito della nautica da diporto commerciale. L’azienda come protagonista del mercato turistico nautico L’azienda deve essere protagonista e punto di riferimento universale per tutti i soggetti coinvolti nel processo di commercializzazione e fruizione del prodotto turistico nautico: gli investitori privati, quelli professionali, gli utenti, le istituzioni. Solo attraverso l’azienda si polarizzano gli interessi e si concretizzano i progetti. Solo attraverso l’azienda l’offerta commerciale sui mercati locali ed internazionali acquista un peso consistente per un’identificazione e uno sviluppo. Solo così può realizzarsi un approccio serio, ordinato e normalizzato ad uno dei settori produttivi più importanti del nostro Paese. L’identificazione dell’operatore turistico nautico Identificare e qualificare l’operatore turistico nautico come il soggetto che svolga attività turistico nautiche, che comportino l’accoglienza turistica anche con l’utilizzo di qualsiasi mezzo nautico. La qualifica dell’operatore in questo modo definito dovrà prevedere le nozioni di base dell’accoglienza e della tecnica turistica nautica, ed essere graduabile per tipologia specifica e livelli, prescindendo dalle abilitazioni del caso che comunque costituiscono parte necessaria e integrante a seconda dell’attività svolta. L’imbarcazione traina l’intero comparto Attraverso l’imbarcazione o il natante si muove il 99 per cento del comparto turistico nautico, dalla locazione al noleggio alla portualità, alle attività didattico sportive. E’ prioritario tenerne conto a fronte di una sempre maggiore attenzione nei confronti delle navi e dei Super Yachts di lusso. Se questo interesse è più che giustificato per ciò che compete gli interessi industriali del nostro Paese, lo stesso non si può dire per quanto riguarda il turismo nautico: qui le navi sono in numero contenuto e generano un traffico pari a circa l’1 per cento del totale. Le imprese turistico nautiche, importanti elementi della filiera turistica nazionale, necessitano di uno sforzo normativo che semplifichi l’utilizzo dei mezzi nautici appropriati e sia il più possibile svincolata dalla cultura mercantile, che inizialmente ha ispirato le normative sul diporto, ma che ormai risulta inadeguata e d’ostacolo per lo sviluppo delle imprese del comparto turistico nautico. Titoli professionali e abilitazioni Il comparto turistico nautico può prevedere un solo titolo professionale, che è quello dell’operatore turistico nautico, valido per tutte le attività svolte nel comparto e che potrà essere regolato su diversi livelli. Le abilitazioni necessarie per lo svolgimento di alcune attività del comparto devono essere ridefinite in maniera semplice e realizzabile e non devono costituire né vincolo né ostacolo allo sviluppo del settore, ma al contrario essere di ulteriore incremento al mercato del lavoro, soprattutto di quello giovanile. L’aspetto contrattuale del lavoro si deve rifare all’esperienza più ampia dei contratti nel settore turistico. (FONTE : http://www.confcommercio.it/ )
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